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    Turismo enogastronomico: ecco le 5 figure chiave per lavorare nel settore

    Il turismo enogastronomico italiano vale oltre 40 miliardi di euro, ma è ancora frenato dalla carenza di figure professionali dedicate. In altre parole, mancano competenze specializzate capaci di trasformarlo in un motore stabile di occupazione e sviluppo.

    👉 Continua a leggere per conoscere i profili chiave e il loro impatto sul settore. Scopri chi sono e perché possono fare la differenza!

    Chi vuole lavorare in questo settore ha davanti opportunità concrete. E oggi anche un punto di riferimento per orientarsi: il Libro Bianco sulle professioni del turismo enogastronomico, appena pubblicato dall’Associazione italiana turismo enogastronomico (Aite) in collaborazione con altre realtà d’eccellenza. Si tratta di un documento strategico: identifica cinque ruoli chiave per far crescere il comparto e offre indicazioni utili a chi vuole entrare nel turismo del gusto, ai giovani in cerca di futuro, a chi desidera valorizzare territori, prodotti e relazioni.

    Le cinque professioni che guideranno il turismo del gusto

    Un approccio strutturato e professionale al turismo enogastronomico passa dalla definizione di ruoli precisi e competenze specifiche. Le professioni richieste oggi non sono solo legate alla produzione, ma soprattutto figure capaci di progettare esperienze e strategie. Il potenziale di crescita è alto, però mancano profili che possano sostenere lo sviluppo. Ecco quelli individuati, per sviluppare un’offerta turistica integrata e promuovere esperienze in Italia e all’estero:

    • Product manager
    • Hospitality manager
    • Addetto alle visite
    • Consulente di turismo enogastronomico
    • Curatore di esperienze enogastronomiche

    A fotografare con precisione i fabbisogni professionali del comparto è appunto il Libro Bianco. Si tratta di una ricerca esplorativa che restituisce uno scenario in evoluzione, in cui emergono nuove figure, diverse tra loro, ma accomunate dall’obiettivo di costruire un sistema turistico più solido e professionale. Vediamole una per una, per comprendere meglio perché saranno decisive per il futuro.

    Product manager: il motore delle reti territoriali e dell’esperienza turistica

    È una figura chiave da inserire nelle DMO (Destination management organization) o nei consorzi. Ha il compito fondamentale è di attivare, nel territorio di appartenenza, le necessarie sinergie per sviluppare il prodotto del turismo enogastronomico. Dovrà quindi creare le condizioni per favorire lo sviluppo e l’offerta di esperienze, nonché per mettere in rete le imprese.

    Il focus è il turista, affinché possa essere accolto e coccolato in tutte le fasi della customer journey. L’obiettivo, invece, punta a sviluppare un’offerta turistica che valorizzi il patrimonio enogastronomico locale. Esempi di product manager si trovano oggi nella DMO della Val di Chiana senese, in Promoturismo FVG, in Trentino Marketing, nel Consorzio del Parmigiano.

    Hospitality manager: l’organizzatore dell’accoglienza che genera valore

    Si occupa di attività fondamentali per gli introiti aziendali. Le sue mansioni vanno dalla pianificazione all’organizzazione e gestione dei servizi turistici, dalla promozione verso i mercati nazionali e internazionali al coordinamento del personale, fino alla vendita diretta. Il tutto con un’attenzione mirata all’utenza turistica.

    In realtà produttive come cantine, frantoi e caseifici, l’hospitality management è un processo cruciale per lo sviluppo del turismo delle aziende produttrici. Nelle microimprese il turismo è gestito direttamente dalla proprietà nel 73% dei casi, spesso con personale part-time e non dedicato. Pure nelle imprese più grandi prevale la gestione interna (62% con 1.001–5.000 visitatori annui, 57% oltre i 5.000), benché cresca il ricorso a professionisti e team strutturati in caso di grandi flussi turistici. Il 43% delle imprese con oltre 5.000 visitatori annui ha già una Business unit, dotata di manager e budget propri. Inoltre, l’82% degli intervistati ritiene che tale figura diventerà sempre più centrale.

    “L’investimento in questa figura professionale – dichiara Roberta Garibaldi, presidente di Aite – potrà determinare un numero particolarmente alto di assunzioni nei prossimi anni. Le intenzioni delle aziende oscillano infatti tra il 33% e il 71% in base alla loro dimensione. È comunque necessario definire le precise competenze, anche per rafforzare i percorsi formativi collegati”. A fianco a lui nelle aziende più grandi abbiamo l’addetto alle visite.

    Consulente per il turismo enogastronomico: il supporto strategico per le imprese

    È un’altra figura interessante, un professionista indipendente o un collaboratore di DMO o consorzi, in grado di supportare le imprese nella strutturazione dell’esperienza e nella gestione di tutte le fasi del processo turistico, dal CRM al revenue management, alla vendita multicanale. Per l’imprenditore agricolo, con competenze sulla parte produttiva, ciò può essere più complesso.

    Ecco perché, il ruolo del consulente – innovativo ma destinato a diventare cruciale in un settore in rapida evoluzione grazie all’intelligenza artificiale – può fare la differenza. Così, come si ricorre alla consulenza di un enologo, è possibile avvalersi di un esperto per ottimizzare, su richiesta, ogni fase del percorso turistico. Trentino Marketing e l’ATL delle Langhe lo fanno già, offrendo supporto alle imprese.

    Addetto alle visite: la guida tra stagionalità e racconto del territorio

    Lavora coordinato dall’hospitality manager e lo affianca: è preposto ad accogliere e accompagnare il cliente/visitatore nel corso delle proposte e attività turistiche organizzate in azienda agricola. A diretto contatto con l’utente finale, illustra la realtà produttiva e lo coinvolge attivamente. Offre assistenza personalizzata, garantisce un’esperienza soddisfacente e in linea con gli standard di qualità definiti. Conosce la cultura e lo stile di vita locale, le attrazioni e le proposte del territorio. In più, raccoglie i feedback della clientela, gestendo e curando la relazione dopo la visita, grazie a strumenti digitali. Peraltro, può fornire supporto in attività aziendali non strettamente correlate al turismo.

    Curatore di esperienze enogastronomiche: il tassello che completa l’accoglienza nei periodi chiave

    Anche qui siamo di fronte ad un ruolo essenziale, pensato per supportare le aziende nei momenti produttivi cruciali, stagionali, come vendemmia o raccolta delle olive. Si distingue per la specificità della sua competenza nel settore enogastronomic. I suoi compiti sono:

    • organizzazione di esperienze enogastronomiche quando l’imprenditore e lo staff sono impegnati in attività produttive
    • creazione e la conduzione di itinerari turistici integrati tra realtà produttive o food-tour urbani
    • accompagnamento nelle differenti esperienze enogastronomiche

    “In tal modo – evidenzia Garibaldi – il curatore di turismo esperienziale si pone come un ponte tra il turismo stesso e l’enogastronomia. Definire e valorizzare con un percorso professionale per questa figura permetterebbe di valorizzare il potenziale dei laureati in Scienze Gastronomiche, dei sommelier, degli esperti di formaggi o dei ristoratori che vogliono estendere il proprio contributo al settore. Permetterebbe di dare contorni netti a chi oggi svolge parzialmente questo lavoro per la non chiarezza normativa, che si distingue per l’approccio innovativo e focalizzato sul patrimonio enogastronomico”.

    Turismo del gusto: un settore in crescita, una guida strategica condivisa

    Il Libro Bianco, redatto dall’Aite e coordinato dalla sua presidente, Roberta Garibaldi, è di fatto un documento strategico che identifica i profili chiave e restituisce una visione sistemica, integrata, dei processi di lavoro, ponendo le basi per una chiara definizione di mansioni e competenze per lo sviluppo sostenibile del settore, nonché facilitando l’integrazione del turismo nelle realtà produttive. L’obiettivo è colmare il divario tra domanda e offerta professionale, creare occupazione qualificata e valorizzare territori, comunità e imprese.

    Non per nulla, l’indagine ha voluto comprendere le modalità organizzative e le criticità connesse alla gestione dell’offerta turistica nelle aziende agroalimentari e vitivinicole. In evidenza le tendenze costanti e necessità strutturali comuni, pur emergendo differenze in funzione dell’affluenza turistica. I cinque profili chiave sono stati individuati a partire dai risultati della ricerca condotta sulle imprese e dal confronto con le realtà che hanno contribuito a costruire il sistema italiano del turismo enogastronomico, tramite eventi di rilievo e progetti di accoglienza diffusa.

    Alla pubblicazione, insieme all’Aite, hanno collaborato Unioncamere, Associazione nazionale Città dell’Olio, Associazione nazionale Città del Vino, CNA Turismo e Commercio, Coldiretti, Confartigianato Turismo, Consulta Nazionale Distretti del Cibo, Federazione Nazionale delle Strade del Vino, dell’Olio e dei Sapori, Unione Italiana Vini. Vi ha contribuito inoltre il Center for higher education and youth employability dell’Università degli Studi di Bergamo.

    Perché servono nuove competenze

    Il comparto del turismo enogastronomico in Italia supera i 40 miliardi di euro, ma solo una minoranza di imprese apre al pubblico in modo continuativo. Con figure professionali qualificate è possibile aumentare flussi e valore, generare nuovi posti di lavoro e sostenere lo sviluppo rurale. Questo è il punto di partenza, che sottolinea quanto il settore non abbia un ruolo secondario nell’occupazione e nella distribuzione del reddito.

    La maggioranza delle aziende lavora in maniera parziale e prevalentemente durante la settimana, quando l’affluenza è più bassa. A ciò si aggiunge la carenza di professionisti in grado di valorizzare davvero l’esperienza del turista. Proprio da qui può partire un cambiamento, perché una formazione mirata e la chiara definizione delle professioni del turismo del gusto possono sbloccare un potenziale ancora inespresso.

    ✍️ La voce delle Pmi

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