Più giovani, diffuse nel Centro-Sud, forti nel terziario. Scopri cosa ostacola davvero la crescita delle aziende rosa
Oggi sono attive in Italia oltre 1,3 milioni di imprese femminili. Rappresentano il 22,2% del totale nazionale e si concentrano prevalentemente nel terziario e nel Centro-Sud. Lo rivela Unioncamere nel corso dell’Audizione alla Commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio e sul contrasto alla violenza di genere.
Il dato conferma il peso crescente delle donne nell’economia del Paese. Ma porta con sé anche domande cruciali: quali sono le caratteristiche di queste imprese? Con quali difficoltà si confrontano? Quali leve possono rafforzarle?
Come crescono le attività femminili in Italia, chi le guida e da dove proviene. Scoprilo in questo post!
Donne al comando: imprese piccole, giovani, nei servizi
Le imprese guidate da donne sono più giovani e più piccole rispetto alla media italiana. In 3 casi su 4 operano nel terziario, cioè nei servizi alla persona, nella sanità, nel commercio e nel turismo. Sono spesso costituite come ditte individuali (60,5% contro il 47,3% delle imprese maschili), segno di una struttura snella.
Imprese “rosa” meno longeve, ma più flessibili
A 5 anni dalla nascita, resta attivo il 72,3% delle aziende femminili, contro il 77,3% delle maschili. Il divario si allarga nel lungo periodo: si passa al 67,5% delle “rosa” oltre i 5 anni, contro il 73,1% di quelle guidate da uomini. Il rapporto con il sistema del credito non è facile, però non manca una grande capacità di adattamento e resilienza.
Formazione, mentoring e parità: cosa può fare il sistema Paese
L’empowerment economico femminile è decisivo per uno sviluppo realmente inclusivo. A sottolinearlo è Tiziana Pompei, vicesegretario generale di Unioncamere: “L’azione di formazione, informazione e mentoring portata avanti dal sistema camerale si configura come un fattore abilitante fondamentale per il successo dell’imprenditoria femminile. Accompagnare le donne nel percorso imprenditoriale – dalla fase dell’idea fino alla crescita su mercati più ampi – significa non solo favorire lo sviluppo economico inclusivo, ma anche dotarle di strumenti di autodeterminazione”.
Come continua a far notare la vicepresidente, crescere significa libertà d’azione e affrancamento. “Ogni donna che riesce a creare e far prosperare la propria impresa diventa infatti più libera, più autonoma e meno vulnerabile a ricatti o violenze di natura economica – ha spiegato -. In quest’ottica, investire sulle donne che fanno impresa costituisce a tutti gli effetti una strategia di prevenzione della violenza di genere: promuovere l’empowerment economico femminile equivale a rimuovere alcuni dei presupposti che alimentano le disparità e possono sfociare in abusi”.
Il nodo dell’accesso al credito e alla crescita
Una delle criticità più evidenti riguarda il rapporto con il sistema bancario. Da un’analisi di Unioncamere – Centro Studi G. Tagliacarne – Si.Camera viene fuori che poco più di un’impresa femminile su tre fa ricorso a finanziamenti bancari, tanto quanto quelle maschili. E, ancora, 3 imprenditrici su 4 si sono autofinanziate con capitali personali e familiari. Invece, solo circa una su quattro ha fatto ricorso a un prestito bancario per l’avvio dell’attività.
Per finire, ancora più limitato è l’uso di strumenti alternativi o complementari al credito bancario. Meno dell’1% delle imprese, al di là del genere del titolare, utilizza canali come investitori informali (business angels, venture capital) o piattaforme di microcredito e crowdfunding. È il segno di un ecosistema finanziario ancora poco diversificato per le piccole imprese. In tal senso, questo basso indebitamento volontario, se da un lato denota autonomia finanziaria, dall’altro può trasformarsi in un freno alla crescita e all’innovazione, specialmente nei mercati più competitivi.
I limiti nell’accesso agli incentivi pubblici
Anche sul fronte dei bandi pubblici, le difficoltà non mancano nell’accesso a finanziamento o incentivi. Sempre dati alla mano, una donna su tre tra quelle che hanno richiesto agevolazioni segnala complessità burocratiche, mentre più di un’impresa su dieci lamenta tempi eccessivamente lunghi per ricevere i fondi.
Parità di genere e cultura d’impresa: i segnali positivi
Oltre alla promozione dell’imprenditoria, Unioncamere è anche soggetto attuatore della Certificazione per la parità di genere nelle imprese, finanziata dal Pnrr. L’iniziativa punta non solo al superamento del gender gap e all’aumento dell’occupazione femminile, bensì pure alla trasparenza organizzativa delle aziende. I numeri oggi mostrano una crescita netta:
- le certificazioni rilasciate sono 7.960, contro il centinaio del 2022
- le domande presentate dalle Pmi sono state 3.406 sui due avvisi pubblici di Unioncamere
Ottenere la certificazione significa migliorare l’organizzazione aziendale, aumentare la trasparenza e favorire l’identificazione e il superamento di discriminazioni di genere.
Perché investire nelle imprese femminili conviene a tutti
Le imprese femminili non sono unicamente una componente dell’economia. Sono un motore di cambiamento sociale, un elemento chiave per il benessere collettivo e per l’autonomia delle donne. Sostenere chi fa impresa al femminile significa costruire una società più equa, più ricca di opportunità e più resiliente. Significa agire in chiave preventiva contro la violenza di genere e investire su modelli sostenibili, innovativi, inclusivi.
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